Curatore/i: Luisa ferro con Miguel Angel de la Iglesia
© Photo courtesy of Miguel Angel de la Iglesia
Che cosa è in fondo l’archeologia? Io non so se l’archeologia debba essere definita come una forma d’arte o una scienza, ma una cosa è assolutamente chiara, cioè che l’archeologia è sempre più dipendente da una moltitudine di scienze e che l’archeologo, quando scava, non porta alla luce oggetti ma esseri umani.
Mortimer Wheeler R. E. (1954), Archaeology from the earth, Oxford: Clarendon Press.
Il restauro del Teatro Romano di Clunia è la conclusione di un processo di ricerca iniziato con lo scavo e la successiva interpretazione architettonica. La creazione di un team multidisciplinare di architetti e archeologi fin dall'inizio dei lavori ha portato a una continuità che va dalla ricostruzione dell'architettura del passato alla riconfigurazione del suo spazio per proteggerlo, renderlo comprensibile e restituirgli l'uso per cui era stato concepito. La ricerca ha permesso di comprendere l'edificio nella sua situazione originaria e nelle sue diverse trasformazioni storiche, utilizzando la disciplina progettuale come meccanismo di ricerca. La ricostruzione del teatro originale a partire dai resti archeologici diventa un autentico esercizio di architettura, dove l'assenza diventa il motore che ci permette di comprendere le rovine esistenti a partire dalla composizione degli elementi mancanti.
L'intervento è realizzato in modo che l'edificio recuperi la propria spazialità e parte della sua funzione, oltre a renderlo nuovamente comprensibile a chi lo visita, senza perdere il carattere evocativo delle rovine e mantenendo l'autenticità dei pochi resti archeologici. Evitando un'ovvia traduzione letterale delle forme originali, ci si avvale di elementi architettonici sovrapposti e chiaramente identificabili, con l'obiettivo di riconfigurare il teatro come una nuova unità architettonica in cui i resti originali, insieme alle aggiunte architettoniche, mostrano allo spettatore la magnificenza del passato.
Il fatto che sia ora possibile tenere spettacoli teatrali o musicali in uno spazio concepito fin dall’inizio per questo scopo, significa che il teatro Clunia continua a essere un edificio vivo e compatibile con la conservazione dell’uso scenico e il mantenimento del suo valore archeologico. Pertanto, e con l’intento di affrontare i due aspetti fondamentali che derivano dal teatro, ovvero la sua ricerca archeologica e il suo consolidamento come spazio archeo-scenico, sono state realizzate una serie di azioni che consentono un maggiore recupero dell’edificio romano, disegnando una nuova immagine che permetta la fruizione e la comprensione del Teatro.
Testi estratti da: de la Iglesia Santamaría M. Á., Álvarez Álvarez D. (2024), Restauro del Teatro romano di Clunia (1994-2004), in Ferro L. (a cura di), Miguel Ángel de la Iglesia Santamaría, Dario Álvarez Álvarez. Teatro di Clunia, Santarcangelo di Romagna: Maggioli Editore.
L’atto del coprire/proteggere lo scavo archeologico può essere effettuato in tanti modi. Posso scegliere di coprire con una tettoia e ho finito lì. Una tettoia ripara e svolge la sua funzione ma non mi dice nulla del luogo e del rudere. I termini “protezione e tutela” possono portare ad interventi ambigui e sviare rispetto al problema proprio dell’Architettura. I frammenti dell’antico chiedono di ritrovare un senso. Valorizzare i luoghi dell’archeologia è un esercizio impegnativo di interpretazione e di traduzione al presente, lavorando con gli strumenti della conoscenza archeologica e quelli del progetto di architettura. Il presente è necessario, perché non esiste un rispetto per l’antico astratto e fuori dal tempo, ma esistono varie forme (tutte in parte distruttive) di convivenza con i resti dell’antico. E il riuso può sembrare distruttivo, eppure ne garantisce la conservazione.
Appropriarsi del rudere è un itinerario complesso di conoscenza che ha come obiettivo un progetto coerente con gli strati, con le sequenze temporali rendendole visibili. Un progetto in grado far intravvedere l’intero senza ricostruirlo, evidenziando le virtualità del rudere così come è giunto fino a noi. Si tratta di un metodo particolare, anche privilegiato, un’opportunità per interrogare i luoghi, conoscerli, cogliendone le misure, le proporzioni, il cammino, il passo, il ritmo del paesaggio, cogliendone anche le interruzioni, le incoerenze, i cambi di orientazione, i vuoti. Tutto insieme concorre nel progetto a rendere leggibile la struttura profonda, nascosta e segreta dei reperti e dei luoghi, innestandosi nel vuoto dovuto alla mancanza. Ma non ricostituisce una forma perduta, entra nell’impianto delle regole, nel meccanismo e lo trasforma, costruisce l’architettura pertinente delle stratificazioni, evidenziando infine una rete di corrispondenze formali.
Lettura estetica del rudere
Nulla è più seducente – e nulla in certi casi, è meglio fondato – del mostrare le forme sottomesse ad una logica interna che le organizza. Un’espressione geometrica, una precisa organizzazione dello spazio, un rapporto numerico di proporzioni, che ci suggerisce una nozione di equilibrio, di ordine, le scelte costruttive, la materia. Ogni dato ha una valenza narrativa, diviene un linguaggio che di traduce in un racconto e che poi si rivelerà (per chi lo compone) come una sorta di iniziazione.
Il progetto
Lavorare con forme frammentate (i ruderi), significa trovare un artificio (formale) in grado di diventare esso stesso strumento di conoscenza della realtà (in questo caso l’archeologica, gli strati). In questo modo la forza evocativa dei ruderi viene potenziata dal progetto, il quale rende leggibili le regole riconosciute, i dati degli archeologi, attraverso alcune mosse meditate (di architettura). Il progetto lavora con la grammatica dell’antico, ma con un linguaggio nuovo (perché dipende dall’immaginazione e creatività di chi progetta). [...] La poetica della composizione architettonica è l’arte, il procedimento, il cammino che si svolge per far comprendere la spazialità architettonica perduta (dei ruderi), l’idea insediativa, il rapporto con la natura.
Nel progetto per il Teatro romano di Clunia, qui presentato, si ritrovano tutti questi passaggi della conoscenza e del progetto. Le regole nascoste e riconosciute del teatro antico vengono elaborate in un insieme unitario (geometrico e non) obbedendo alle necessità di un’idea: in un certo senso la costruzione di frammenti nuovi fra i frammenti antichi, seguendo un ordine narrativo unico. Ogni nuovo frammento di architettura (le parti della summa cavea) rivela il fascino di ciò che manca ma anche l’immaginazione per quello che potrebbe essere, insinuandosi nel segreto delle cose, lavorando sui segni possibili, pertinenti all’identità di un luogo, di un teatro in questo caso,riappropriandosi del complesso di regole e di tecniche, di consuetudini e di innovazioni che hanno costruito la città e il suo territorio senza mai essere ricostruttivo o mimetico. Così i pezzi del progetto e i frammenti archeologici sono le tessere di un racconto, nel quale ci possiamo camminare dentro: qualcosa sembra andare per suo conto, invece come in un gioco di squadra, sta cercando di fare spazio agli altri. Nessuna tessera è indispensabile, però tutte insieme formeranno un film: una Promenade architecturale. Una sorta di filo conduttore nascosto composto e coerente al cui interno troviamo una sequenza logica tra le cose. Un nesso ragionevole che senza il progetto non sarebbe più possibile cogliere. C’è poi un elemento inaspettato, straniante: la presenza del museo al di sotto della quota della scena, una sorta di colpo di teatro. E qui si torna al ruolo dell’immaginazione.
Testi estratti da: Ferro L. (2024), Sopravvivenze e trasfigurazioni formali, in Ferro L. (a cura di), Miguel Ángel de la Iglesia Santamaría, Dario Álvarez Álvarez. Teatro di Clunia, Santarcangelo di Romagna: Maggioli Editore.
© Credits immagini: Emanuele Ciccomartino | Álvaro Viera
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Locandina de La Iglesia
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Foglio di sala de la Iglesia
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